Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
il bargnif all'opera | 117 |
tarla ad Albogasio Superiore dove, se il lago mancava, i muri nudi eran troppi. Come s’era procurato il professore quelle agavi, quei capperi, quelle rose?
«Ma!» rispose candidamente il professore. «Me li ha donati Maironi.»
«Don Franco?» esclamò Pasotti. «Benissimo. Allora, siccome don Franco ha molta bontà per me, mi rivolgerò a lui.»
E trasse la tabacchiera. «Povero don Franco!» diss’egli, guardando il tabacco e palpandolo con la tenerezza di un bargnìf commosso. «Povero figliuolo! Qualche volta si riscalda ma è un gran buon figliuolo! Gran bel cuore! Povero figliuolo! Lei lo vede spesso?»
«Sì, abbastanza.»
«Almeno potesse riuscire nei suoi desideri, povero figliuolo! Lo dico per lui e anche per lei. Non sarà mica una cosa sfumata?»
Pasotti disse questa interrogazione da grande artista, con interesse affettuoso ma discreto, senza esprimere più curiosità che non convenisse, volendo ungere e ammollire un poco il cuore chiuso del Gilardoni onde si aprisse, poco a poco, da sè. Ma il cuore del Gilardoni, invece di aprirsi a quel tocco delicato, si contrasse, si richiuse.
«Non lo so» rispose il professore sentendosi, con dispetto, diventar rosso; e diventò scarlatto. Pasotti notò subito nel suo taccuino mentale la risposta imbarazzata e il colore. «Farebbe male»