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178 parte ii - capitolo ii

tarne mai con sua moglie. Egli non aveva obbedito che quanto al silenzio. Il documento, all’insaputa di Franco, esisteva ancora perchè il suo possessore s’era fitto in capo di aspettar gli eventi, di vedere se Cressogno e Oria faceesero la pace, se, perdurando le ostilità, Franco e la sua famigliuola capitassero nel bisogno; nel quale ultimo caso avrebbe fatto qualchecosa lui. Che cosa avrebbe fatto non sapeva bene; si coltivava in testa i germi di parecchie corbellerie e aspettava che l’una o l’altra maturasse a tempo e luogo. Ora, guardando Franco giuocare, ammirava come quell’uomo tanto assorto nella cupidità di un re di quadri, avesse respinta l’altra carta preziosa, che neppure avesse voluto farne saper niente a sua moglie. Egli attribuiva questo silenzio a modestia, al desiderio di nascondere una azione generosa; e quantunque avesse preso da Franco più d’un brusco rabbuffo e sentisse di non esserne tenuto in gran conto, lo guardava con un rispetto pieno d’umile devozione. Franco fu il primo a scoprir la quarta carta e le buttò via dispettosamente tutte mentre don Giuseppe esclamava: «ovèj! L’è nègher!» e si fermava a pigliar fiato prima di andar avanti a scoprire «se l’era güzz o minga güzz» ossia s’eran picche o fiori. Ma l’ingegnere, alzato dalle carte il viso placido e sorridente, si mise a batter col dito, sotto il piano del tavolino, dei colpettini misteriosi che volevan dire: c’è la carta buona; e allora don Giuseppe, visto che il suo «negher» non era «güzz,» cacciò un «ma-