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322 parte ii - capitolo viii

mente che Maria si mise a piangere. Luisa si fece rossa ma tacque. Accese un lume, prese la bambina in braccio, la porse silenziosamente a suo padre per un bacio, che fu freddo, e la portò via. Franco non la seguì. Si arrabbiò di veder quello stivale e lo gettò in terra. Poi sedette, piantò i gomiti sulla tavola, si strinse il capo fra le mani.

L’amara idea che Luisa fosse complice del Gilardoni gli era lampeggiata in mente subito, mentre Pasotti parlava, col ricordo di quel «cosa, silenzio?», di quel «basta!» e del racconto della bambina. Egli aveva dentro a sé come un vortice dove quest'idea spariva girando e ricompariva sempre più basso, sempre più vicino al cuore.

«Dunque?», tornò a chiedere Luisa, rientrando. Franco la guardò un momento in silenzio, la scrutò. Poi si alzò e le afferrò le mani. «Dimmi se sai niente!», diss’egli. Ella indovinò, ma quello sguardo e quel modo la offesero. «Come, se so niente?», esclamò accesa in volto. «Me lo domandi così?» «Ah tu sai!», gridò Franco, gittando da sé le mani di lei e levando le braccia in alto.

Ella presentì ciò che veniva, il sospetto della sua complicità col professore, la propria smentita, l’offesa mortale, irrimediabile che Franco le avrebbe fatto se, nell’ira, non avesse creduto alla sua parola, e giunse le mani spaventata. «No Franco, no Franco», diss’ella sottovoce e gli gittò le braccia al collo, volle chiuder coi baci le labbra di lui. Ma egli fraintese, credette che volesse domandar