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426 parte ii - capitolo xi

spalla e le manine aperte, abbandonate sulle lenzuola, con le palme in su! E invece vi era, sì, ma...! Oh che cosa! Non poteva, non poteva esser fine al pianto.

Venne la Leu col lume e gli portò il caffè. L’aveva mandata la signora. Egli ebbe un movimento di tenera gratitudine per sua moglie. Dio, povera Luisa, che infelicità nera la sua! E quali spaventose apparenze di castigo per lei nel colpo che le piombava sopra in quel momento, proprio in quel momento! Lo aveva ben compreso, lei, ch’egli doveva pensar così e lo pensava davvero e aveva negato per pietà, sì, per pietà com’ella aveva inteso pure. E queste spaventose apparenze di castigo non frutterebbero dunque niente? Ella si separava da Dio più che mai, chi sa fino a qual punto. Povera, povera Luisa! Non era da pregar per Maria, Maria non ne aveva bisogno. Era da pregar per Luisa, da pregar dì e notte, da sperar nelle preghiere dell’animetta cara, nascosta in Dio.

Egli parlò con la Leu, abbastanza calmo, si fece raccontar da lei tutto che aveva veduto, tutto che aveva udito della cosa terribile. «La voreva propi el Signor, la Soa tosetta» disse la Leu per ultimo. «Bisognava vedèlla in gièsa, con i so manitt in crôs, cont el so bel faccin seri. La somejava on angiol tal e qual! Propi.» Poi domandò a Franco se desiderasse tener il lume. No, preferiva star all'oscuro. E il funerale, a che ora si farebbe? La