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446 | parte ii - capitolo xii |
capo alla seconda pagina, udendo il respiro della padrona farsi greve, andò pian piano smorzando la voce, per un mormorio inarticolato, fino al silenzio. Aspettò un poco, ascoltò il respiro regolare e pesante, si alzò a guardar la faccia cupa, supina sul doppio guanciale con le sopracciglia aggrottate e la bocca semiaperta, prese il lume e si ritirò in punta di piedi.
La marchesa dormiva e sognava. Sognava di giacer sulla soglia nello stanzone buio di un carcere, con i ceppi ai piedi, accusata di assassinio. Entrava il giudice con un lume, sedeva presso a lei e leggeva una predica sulla necessità della confessione. Ella gli si protestava innocente, ripeteva: «ma non sa che si è annegata da sè, ma non sa che si è annegata da sè?» Il giudice non rispondeva, leggeva, leggeva sempre con voce compunta e solenne, e la marchesa insisteva: «no, non l’ho uccisa.» Non era flemmatica nel sogno, si agitava come una disperata. «Badi» rispondeva il giudice. «La bambina lo dice.» Egli si alzava in piedi e ripeteva: «lo dice». Poi battè forte le mani palma a palma ed esclamò: «entrate!». Fino a questo punto la marchesa aveva sentito, sognando, di sognare; qui credette svegliarsi, vide con orrore che qualcuno era entrato infatti.
Una forma umana debolmente luminosa stava a sedere sulla poltrona ingombra di vesti, presso il suo letto, sì ch’ella non poteva vedere la parte inferiore dell’Apparizione. Il busto, le braccia, le