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522 parte iii - capitolo ii

sentiva che non importava loro un fico secco della vita pur di farla libera, questa vecchia patria, e grande. «Ghe pàrele teste da far l’Italia?», disse il Padovano a Luisa. «Gnanca so marìo, sala. Un bon toso ma par far l’Italia, gnente. La vedarà che razza de Italia che vien fora! I nostri fioi ne farà el monumento ma dopo vegnarà, capissela, con licenza, quelle figure porche de quei nevodi, che me par de sentirli: «Che da can, i dirà, che i la ga fata, quei veci insensai, sta Italia!»

I Sapienti partirono dopo essersi accordati con Franco di trovarsi l’indomani mattina sul primo battello. Franco li accompagnò alla barca e intanto sua moglie salì a vedere lo zio Piero. Egli aveva dato l’incarico all’albergatore di avvertire i suoi nipoti che, sentendosi molto sonno, era andato a letto. Infatti Luisa lo udì dormire rumorosamente. Posò il lume e attese Franco.

Egli venne subito e fu sorpreso di udire che lo zio dormiva già. Avrebbe voluto pigliar congedo da lui prima d’andar a letto, perchè il battello partiva di gran mattino, alle cinque e mezzo. L’uscio della camera era chiuso, tuttavia Luisa pregò suo marito di camminare in punta di piedi e di parlar sotto voce. Gli raccontò ciò che le aveva detto la Cia. Lo zio aveva bisogno di riposo. Ella sperava che sarebbe rimasto a letto fino alle nove o alle dieci e contava partire al tocco, andar a dormire a Magadino per non affaticarlo troppo. Insistette molto su queste apprensioni per la salute