con le ribellioni del pensiero, la ribellione
dell’erba viva. Maironi fece l’intero viaggio senza guardar
mai nè a destra nè a sinistra, assorto nel suo dramma
interno, nelle visioni di villa Diedo, nel fantasma della
Valsolda. Anche lo molestavano di tempo in tempo i richiami
di tanti affari pubblici gravi, urgenti, che aveva
per le mani, benchè non volesse dar loro ascolto. In fondo
il colloquio con don Giuseppe gli aveva lasciato
nell’anima gratitudine, riverenza nuova, tenerezza intensa
per il santo vecchio e con questo una mistura di delusione,
non avvertita in principio, manifestatasi poi a misura
che ne veniva meditando le parole disgiunte dal
suono dolce e grave della voce, dall’aspetto del viso pio,
dall’aura dello spirito immacolato. Sospettava, in fondo,
di non essere stato compreso nè conosciuto bene, sospettava
che il consiglio di fuggire in una solitudine e di
viverci partisse da un concetto inesatto della sua natura
e fosse stato suggerito dal desiderio di sostituire al monastero,
impossibile, uno stato simile allo stato monastico.
Ora egli aveva sognato i sacrifici, le aspre penitenze;
si sgomentava della vita inerte di una casa piacevole. Ah
però se Iddio lo aiutasse! Se la coincidenza strana del
consiglio di don Giuseppe con la lettera di Valsolda significasse
un disegno della Provvidenza! Quando si vide
a fronte la fosca cintura e la torre