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il caffè del commendatore. 219

cidezza quasi scherzosa la sua idea: un giorno o l’altro, caro te, andiamo tutti a star a “cossa xela„, intendendo Brescia. La seconda volta era stata più ardita e più assurda, aveva parlato di vender palazzo e poderi, di andar a vivere a Brescia, in casa di Maironi: “E se no te voli vegner ti andaremo noaltri pori veci„.

Nel dire e non dire, a modo suo, tante sottili fila di artifici santi, le ingarbugliò siffattamente che a un certo punto don Giuseppe non ne aveva capito nulla ed ella stessa vi si era avviluppata dentro a segno da togliere al suo interlocutore ogni speranza che potesse uscirne. Ella continuò invece senza scomporsi il suo discorso rotto e oscuro peggio che mai, annaspando, annaspando, spremendosi dalla gola parole che cozzavano insieme, ferma in qualche idea recondita della sua mente, cui pure voleva dire e non dire. Don Giuseppe si fece un po’ inquieto. Lo stesso crescente annaspare della marchesa dentro a tenebre sempre più fitte e il lampo di qualche “bisognerebbe„ gli diedero l’idea di un disegno chiaro nella mente di lei che, per abitudine, non metteva mai fuori il suo pensiero intimo alla prima, e l’idea ch’ell’avesse assegnato un cómpito anche a lui, un cómpito non facile, non rispondente al reale poter suo. La marchesa venne a questa conclusione tanto più pau-