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268 capitolo quinto.

Le pareva che il suo amore non potesse più crescere e insieme che crescesse sempre. Non pensava che lui, non sentiva che lui e se nei primi tempi la tormentava inesprimibilmente il sospetto di non essere amata che a parole o come un fantasma, un’idea impersonale dell’amore, o come un vaso chiuso di piacere, adesso le pareva persino, qualche volta, che le sarebbe bastato di amare, di amare, di amare, le pareva di poter rinunciare a essere amata. Quando la sua salute delicata era buona, l’aspettazione di lui e la sua presenza e il partirsene la facevano soffrire; quando invece non si sentiva bene non vi era per lei ristoro maggiore che il vederlo. Le avveniva di sognare ch’erano sposi in un altro paese, in un’altra casa, in mezzo ad altra gente, ch’egli le parlava sottovoce, con dolcezza ma con autorità, di cose serie, che ciascuno aveva le proprie stanze, ch’ella neppure osava di fargli una carezza e ch’era tuttavia beata di appartenergli così. Amava tanto e non però ciecamente. Credeva conoscere Piero, i difetti e gli eccessi della sua natura, meglio di qualunque altro, meglio, sopra tutto, di lui stesso. Credeva leggergli nel cuore il segreto di quelle inquietudini ch’egli forse non sinceramente le diceva di non sapere spiegare a se stesso. Confidava sì di essere amata ma si teneva sicura che l’amore di lui non pareg-