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Enrico IV 73

che sicuri che un pazzo nota, può notare benissimo un travestimento davanti a lui; e assumerlo come tale; e sissignori, tuttavia, crederci; proprio come fanno i bambini, per cui è insieme giuoco e realtà. Ho detto perciò puerile. Ma è poi complicatissimo in questo senso, ecco: che egli ha, deve avere perfettamente coscienza di essere per sè, davanti a sè stesso, una Immagine: quella sua immagine là! (Allude al ritratto nella sala del trono, indicando perciò alla sua sinistra).

Belcredi.

L’ha detto!

Dottore.

Ecco, benissimo! — Un’immagine, a cui si sono fatte innanzi altre immagini: le nostre, mi spiego? Ora egli, nel suo delirio — acuto e lucidissimo — ha potuto avvertire subito una differenza tra la sua e le nostre: cioè, che c’era in noi, nelle nostre immagini, una finzione. E ne ha diffidato. Perchè tutti i pazzi sono sempre armati d’una continua vigile diffidenza. Ma questo è tutto! A lui naturalmente non è potuto sembrare pietoso questo nostro giuoco, fatto attorno al suo. E il suo a noi s’è mostrato tanto più tragico, quanto più egli, quasi a sfida — mi spiego? — indotto dalla diffidenza, ce l’ha voluto scoprire appunto come un giuoco; anche il suo, sissignori, venendoci avanti con un po’ di tinturina suille tempie e sulle guance, e dicendoci che se l’era data apposta, per ridere!