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dare, come se improvvisamente gli fosse caduto un macigno innanzi ai piedi.

— Dov’è l’anima?

— Sì, Lei o io, io che non sono un grand’uomo, ma che pure... via, ragiono: passeggio, cado, batto la testa, divento scemo. Dov’è l’anima?

Il Paleari giunse le mani e, con espressione di benigno compatimento, mi rispose:

— Ma, santo Dio, perchè vuol cadere e batter la testa, caro signor Meis?

— Per un’ipotesi...

— Ma nossignore: passeggi pure tranquillamente. Prendiamo i vecchi che, senza bisogno di cadere e batter la testa, possono naturalmente diventar scemi. Ebbene, che vuol dire? Lei vorrebbe provare con questo che, fiaccandosi il corpo, si raffievolisca anche l’anima, per dimostrar così che l’estinzione dell’uno importi l’estinzione dell’altra? Ma scusi! Immagini un po’ il caso contrario: di corpi estremamente estenuati in cui pur brilla potentissima la luce dell’anima: Giacomo Leopardi! e tanti vecchi, come per esempio Sua Santità Leone XIII! E dunque? Ma immagini un pianoforte e un sonatore: a un certo punto, sonando, il pianoforte si scorda; un tasto non batte più; due, tre corde si spezzano; ebbene, sfido! con uno strumento così ridotto, il sonatore, per forza, pur essendo bravissimo, dovrà sonar male. E se il pianoforte poi tace, non esiste più neanche il sonatore?

— Il cervello sarebbe il pianoforte; il sonatore l’anima?

— Appunto, signor Meis! Ora se il cervello si guasta, per forza l’anima s’appalesa scema,