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questo spirito, improvvisava sul pianoforte, fino a cader per terra, svenuta, in certi momenti. Una sera si raccolse perfino gente, giù in istrada, che poi la applaudì...
— E la signorina Caporale ne ebbe quasi paura, — aggiunsi io, placidamente.
— Ah, lo sa? — fece Papiano, restando.
— Me l’ha detto lei stessa. Sicchè dunque applaudirono la musica di Max sonata con le mani della signorina Caporale?
— Già, già! Peccato che non abbiamo in casa un pianoforte. Dobbiamo contentarci di qualche motivetto, di qualche spunto, accennato su la chitarra. Max s’arrabbia, sa! fino a strappar le corde, certe volte... Ma sentirà stasera. Mi pare che sia tutto in ordine, ormai.
— E dica un po’, signor Terenzio. Per curiosità, — volli domandargli, prima che andasse via, — lei ci crede? ci crede proprio?
— Ecco, — mi rispose subito, come se avesse preveduto la domanda. — Per dire la verità, non riesco a vederci chiaro.
— Eh sfido!
— Ah, ma non perchè gli esperimenti si facciano al bujo, badiamo! I fenomeni, le manifestazioni sono reali, non c’è che dire: innegabili. Noi non possiamo mica diffidare di noi stessi...
— E perchè no? Anzi!
— Come? Non capisco!
— C’inganniamo così facilmente! Massime quando ci piaccia di credere in qualche cosa...
— Ma a me, no, sa: non piace! — protestò Papiano. — Mio suocero, che è molto addentro in questi studii, ci crede. Io, fra l’altro, veda, non ho neanche il tempo di pensarci... se