Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 254 — |
verso Papiano, verso il suo nemico, come per compensarlo a gli occhi di lei del sospetto concepito a suo carico. Sì, sì, e avrei stordito così anche il mio ladro, sì, fino a far credere a tutti ch’io fossi pazzo... E ancora più, ancora più: non dovevamo or ora andare in casa del marchese Giglio? ebbene, mi sarei messo, quel giorno stesso, a far la corte alla signorina Pantogada...
— Mi disprezzerai ancor più, così, Adriana! — gemetti, rovesciandomi sul letto. — Che altro, che altro posso fare per te?
Poco dopo le quattro, venne a picchiare all’uscio della mia camera il signor Anselmo.
— Eccomi, — gli dissi, e mi recai addosso il pastrano. — Son pronto.
— Viene così? — mi domandò il Paleari, guardandomi meravigliato.
— Perchè? — feci io.
Ma mi accorsi subito che avevo ancora in capo il berrettino da viaggio, che solevo portare per casa. Me lo cacciai in tasca e tolsi dall’attaccapanni il cappello, mentre il signor Anselmo rideva, rideva come se lui...
— Dove va, signor Anselmo?
— Ma guardi un po’ come stavo per andare anch’io! — rispose tra le risa, additandomi le pantofole ai piedi. — Vada, vada di là; c’è Adriana...
— Viene anche lei? — domandai.
— Non voleva venire, — disse, avviandosi per la sua camera, il Paleari. — Ma l’ho persuasa. Vada: è nel salotto da pranzo, già pronta...
Con che sguardo duro, di rampogna, m’accolse in quella stanza la signorina Caporale!