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tempesta. Lungo le vie si schiudevano le finestre frettolosamente, da cui si sporgevano braccia nude, subito ritirate, e facce pallide di sonno, avvolte in vecchi scialli, in cuffie, in fazzoletti.

Nessuna delle tre sconsolate pensò di scendere dal letto. Rimasero con gli occhi aperti nel bujo, e a ciascuna passò innanzi alla mente la visione di quegli energumeni giù per la via, tra il fumo e le fiamme sanguigne delle torce a vento squassate, vestiti di bianco, in camicia e mutande, coi piedi scalzi, una fascia rossa alla vita, un fazzoletto giallo legato intorno al capo. Tant’altre volte, negli anni lieti, li avevano veduti.

Passata quella furia infernale, la strada ricadde nel silenzio notturno; ma si ravvivò poco dopo festivamente. Maria affondò la faccia nel guanciale e si mise a piangere in silenzio, angosciata dai ricordi.

S’intese il primo grido degli scalzi miracolati:

Il Santo delle grazie, divoti!

Eran ragazzi, giovinotti, uomini maturi, che per miracolo de’ SS. Cosimo e Damiano (di cui il popolo faceva un santo solo in due persone) si ritenevano scampati da qualche pericolo o guariti da qualche infermità, e che, ogni anno, per voto, andavano in giro per il paese, in peduli, vestiti di bianco come i pescatori, e con un vassojo innanzi sostenuto da una fascia di