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grossi cerchi d’oro a gli orecchi e collane e spille a pendagli e a lagrimoni; gli uomini: contadini, solfarai, marinai, impacciati dai ruvidi abiti nuovi, dagli scarponi imbullettati.

Marta e Anna Veronica, che sotto lo scialle nascondeva le torce e la tovaglietta, tra la folla fluttuante, stordita, senza direzione, andavano quanto più sollecitamente potevano.

Giunsero alla fine nella piazza innanzi alla chiesuola, rigurgitante di popolo. Il baccano era enorme, incessante; la confusione, indescrivibile. S’erano improvvisate tutt’intorno baracche con grandi lenzuola palpitanti: vi si vendevano giocattoli e frutta secche e dolciumi, gridati a squarciagola; andavano in giro i figurinai con le imagini di gesso dipinte, rifacendo il verso degli scalzi miracolati; i frullonai, tirando e allargando la cordicella del frullo; i gelatai coi loro carretti a mano parati di lampioncini variopinti e di bicchieri:

Lo scialacuore! lo scialacuore!

E al gajo bando seguiva una distribuzione di scappellotti ai monelli più molesti, che attorniavano i carretti come un nugolo ostinato di mosche.

Contrastava con quel vario allegro berciare dei venditori la cantilena lamentosa opprimente d’una turba di mendicanti su gli scalini innanzi