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quella separazione, quasi istintiva ormai, dal mondo.

Degli altri inquilini della casa ricevettero soltanto una visita, che offrì loro in seguito e per parecchio tempo cagione di molte risa. Si era anche novamente stabilita in Marta la disposizione a scoprire e a rappresentare il ridicolo nascosto un po’ in fondo a tutte le cose e a tutte le persone, ch’ella rifaceva negli atteggiamenti e nella voce con straordinaria facoltà imitativa. Le gambe di don Fifo Juè, l’inquilino del secondo piano, e il suo modo di sedere, la parlantina e i gesti romantici di sua moglie furono da lei resi con tanta comicità, che la madre e Maria si tenevano i fianchi dal troppo ridere:

— Basta, Marta, per carità!...

Questo don Fifo Juè e la moglie, che si chiamava Maria Rosa, si presentarono parati di strettissimo lutto, con gli occhi bassi, l’espressione compunta, come se tornassero allora allora da un accompagnamento funebre.

— Visita di convenienza.... siamo gl’inquilini del secondo piano, — dissero con voce flebile a Maria che, aperta la porta, era rimasta perplessa innanzi a quei due sconosciuti. Ed emisero, con un lamento della gola, un brve sospiro.

Introdotti nel “futuro„ salotto, don Fifo, lungo e magro, sedette con le gambe unite, i piedi

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