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tetto, nella pace solenne d’una chiesa, appariva il riposo della morte!

Le due ali di seggiole s’allungavano fino alle colonne che reggevano sul nartece la cantoria. Dietro queste colonne eran due lunghe panche, su una delle quali Marta, entrando, aveva veduto un vecchio contadino con le braccia incrociate sul petto, rapito nella preghiera, con gli occhi risecchi dagli anni, infossati. Oh quelle mani scabre, terrose, quel collo da la floscia giogaja divisa da un solco nero, dal mento giù giù fin sotto alla gola, e quelle tempie schiacciate, quella fronte angusta, increspata sotto l’ispida canizie! Di tratto in tratto il vecchietto tossiva, e quei colpi di tosse rimbombavano cupamente nel silenzio della chiesa deserta.

Dai finestroni in alto entrava a colpire a fasci i grandi affreschi della vôlta l’ardente pallore in cui il giorno moriva tra uno sbaldore assordante di rondini.

Marta era venuta in chiesa per consiglio di Anna Veronica. Ma cominciava già, in quella lunga attesa, ad avere di sè stessa, inginocchiata lì, come una mendicante, una penosissima impressione. Intendeva in Anna tutta quell’umiltà, fonte per lei di tanta serena dolcezza; Anna era veramente caduta; aveva perciò cercato e trovato nella fede un conforto, nella