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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 115

come il gusto per siffatta letteratura avesse assunto il grado della follia. Ci avvarremo anzi anche noi di queste parole e ci serviremo dell’autore stesso e della stessa storia della sua vita per dimostrare la vera ragione del libro e quella, più profonda, dell’umorismo di esso.

Come nasce al Cervantes l’idea di coglier vivo e vero nel suo paese e nel tempo suo, anzichè lontano, in Francia, al tempo di Carlomagno, l’eroe da celebrare con quell’intento espresso nelle parole del prologo? Quando e dove gli nasce quest’idea e perchè?

Non è senza ragione il favore straordinario per la letteratura epica e cavalleresca in quel tempo: è l’incubo del secolo del poeta la lotta fra Cristianità e Islamismo. E il poeta, fin dall’infanzia anche lui sotto il fascino dello spirito cavalleresco, povero, ma altero discendente d’una nobile famiglia da più secoli devota alla monarchia e alle armi, fu per tutta la vita uno strenuo difensore della sua fede. Non aveva dunque bisogno d’andarlo a cercar lontano, nella leggenda, l’eroe, cavaliere della fede e della giustizia: lo aveva presente, in sè. E quest’eroe combatte a Lepanto; quest’eroe tien testa per cinque anni, schiavo in Algeri, ad Hassan, il feroce re berbero; quest’eroe combatte in tre altre campagne per il suo re contro a Francesi e Inglesi.

Come mai, tutt’a un tratto, gli si mutano in molini a vento queste campagne, e l’elmo che ha in testa in un vil piatto da barbiere?

Ha avuto molta fortuna una considerazione del Sainte-Beuve, che cioè nei capolavori del genio umano viva nascosta una plusvalenza futura, la quale si svolge di per sè sola, indipendentemente dagli autori medesimi, come dal germe si svolgono il fiore ed il frutto senza che il giardiniere abbia fatto altro se non avere zappato bene, rastrellato, inaffiato il terreno, e dato