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154 parte seconda

chi o dove stia la ragion relativa e il giusto e il bene? Io non voglio nè debbo uscire dal campo della fantasia pura. Io mi pongo dinanzi qualunque rappresentazione artistica, e mi propongo soltanto di giudicarne il valore estetico. Per questo giudizio, ho bisogno innanzi tutto di sapere lo stato d’animo che quella rappresentazione artistica vuol suscitare: lo saprò dall’impressione che ne ho ricevuto. Questo stato d’animo, ogni qual volta mi trovo innanzi a una rappresentazione veramente umoristica, è di perplessità: io mi sento come tenuto tra due: vorrei ridere, rido, ma il riso mi è turbato e ostacolato da qualcosa che spira dalla rappresentazione stessa. Ne cerco la ragione. Per trovarla, non ho affatto bisogno di sciogliere l’espressione fantastica in un rapporto etico, di tirare in ballo il valore etico della personalità umana e via dicendo.

Trovo questo sentimento del contrario, qualunque esso sia, che spira in tanti modi dalla rappresentazione stessa, costantemente in tutte le rappresentazioni che soglio chiamare umoristiche. Perchè limitarne eticamente la causa, oppure astrattamente, attribuendola, ad esempio, al disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono fra la vita reale e l’ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie? Nascerà anche da questo, come da tantissime altre cause indeterminabili a priori. A noi preme soltanto accertare che questo sentimento del contrario nasce, e che nasce da una speciale attività che assume nella concezione di siffatte opere d’arte la riflessione.

III


Teniamoci a questo; seguiamo questa attività speciale della riflessione, e vediamo se essa non ci spiega ad una ad una tutte le varie caratteristiche, che si possono riscontrare in ogni opera umoristica.