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40 | parte prima |
d’essere, lo stile d’uno scrittore si distingue da quello dell’altro: lo Swift dal Fielding, lo Sterne dallo Swift e dal Fielding, il Dickens dallo Swift e dal Fielding e dallo Sterne e così via.
Le relazioni che questi scrittori umoristici inglesi possono avere con l’umore nazionale son affatto secondarie e superficiali, come quelle che essi possono aver fra loro, e non hanno per la valutazione estetica alcuna importanza.
Quel che di comune possono aver tra loro questi scrittori non deriva dalla qualità dell’umore nazionale inglese, ma dal solo fatto ch’essi sono umoristi, ciascuno sì a suo modo, ma umoristi tutti veramente, scrittori cioè nei quali avviene quello speciale processo intimo e caratteristico da cui risulta l’espressione umoristica. E soltanto per questo, non Arrigo Heine e il Rabelais e il Montesquieu e basta, ma tutti i veri scrittori umoristici d’ogni tempo e d’ogni nazione possono andare a schiera con quelli. Non però Aristofane, nel quale quel processo non avviene affatto. In Aristofane non abbiamo veramente il contrasto, ma soltanto l’opposizione. Egli non è mai tenuto tra il sì e il no; egli non vede che le ragioni sue, ed è per il no, testardamente, contro ogni novità, cioè contro la retorica, che crea i demagoghi, contro la musica nuova, che, cangiando i modi antichi e consacrati, rimuove le basi dell’educazione e dello Stato, contro la tragedia d’Euripide, che snerva i caratteri e corrompe i costumi, contro la filosofia di Socrate, che non può produrre che spiriti indocili e atei, ecc. Alcune sue commedie son come le favole che scriverebbe la volpe, in risposta a quelle che hanno scritto gli uomini calunniando le bestie. Gli uomini in esse ragionano e agiscono con la logica delle bestie, mentre nelle favole le bestie ragionano e agiscono con la logica degli uomini. Sono allegorie in un dramma fantastico, nel quale