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90 parte prima

non ha voluto esser serio, come per il sentimento suo poteva e come per il rispetto alle condizioni serie dell’arte doveva. E, non volendo esser serio, egli non ha saputo ridere, perchè a quella materia solo un riso ormai conveniva, quello de la forma, e la forma sopra tutto manca al Bojardo. Dice bene il Rajna che «non ci vuol molto ad accorgersi che tra il Bojardo ed il mondo da lui preso a rappresentare, c’è un vero contrasto, dissimile soltanto per grado e per tono da quello che impediva al Pulci d’immedesimarsi colla sua materia». Ma l’inferiorità del Bojardo rispetto al Pulci e all’Ariosto è appunto qui, nel grado e nel tono del suo riso. Egli volle badar soltanto a sollazzare sè e gli altri, e non intese che, volendo sollevar dal popolo quella materia e non volendo più farne deliberatamente la parodia, come aveva fatto il Pulci, si dovevano rispettare le condizioni serie dell’arte, come l’Ariosto le rispettò.

Non è affatto vero che il poeta del Furioso con sorriso incredulo sciolga in fumo l’edificio del Bojardo e trasformi in fantasmi i personaggi dell’Innamorato. Al contrario! Egli dà anzi a quell’edificio e a quei personaggi ciò che loro mancava: consistenza e fondamento di verità fantastica e coerenza estetica.

Bisogna bene intendersi sul non credere del poeta al mondo che canta o che, comunque, rappresenta. Certo, nessun artista crede alla verità oggettiva, cioè reale in sè, del mondo che rappresenta. Ma si potrebbe dire che questa verità oggettiva, non solo per l’artista, ma non esiste per nessuno, giacchè non può esser considerata come reale in sè se non per una astrazione in base a un procedimento logico: l’uomo non può uscire fuori di sè stesso; e fatalmente crede verità fuori di sè quella ch’egli si finge coi propri sensi, la propria illusione. Si potrebbe dire altresì che l’unica verità oggettiva per l’uomo sia quella ch’egli stesso riesce a creare og-