Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/123

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La ragione per cui di questi giorni non è venuto, è quanto mai triste. Muore l’uomo del violino.

Ho trovato a veglia nella cameretta riservata al Pau nell’ospizio, lui Pau, il vecchietto suo collega pensionato dal governo pontificio e le tre maestre zitellone, amiche delle suore di carità. Sul letto di Simone Pau, con una compressa di ghiaccio sul capo, giaceva l’uomo del violino, colpito tre sere fa da apoplessia.

— Si libera, — mi ha detto Simone Pau, con un gesto della mano, consolante. — Siedi qua, Serafino. La scienza gli ha messo in capo quel berretto là di ghiaccio, che non serve a nulla. Noi lo facciamo passare tra sereni discorsi filosofici, in compenso del dono prezioso ch’egli ci lascia in eredità: il suo violino. Siedi, siedi qua. Lo hanno lavato bene, tutto; lo hanno messo in regola coi sagramenti, lo hanno unto. Ora aspettiamo la sua fine, che non può tardare. Ti ricordi quando sonò davanti alla tigre? Gli fece male. Ma forse, meglio così: si libera! —

Come sorrideva benigno, a queste parole, il vecchietto tutto raso, fino fino, pulito pulito, con la papalina in capo e in mano la tabacchiera d’osso col ritratto del Santo Padre sul coperchio!

— Prosegua, — riprese Simone Pau, rivolto al vecchietto, — prosegua, signor Cesarino, il suo elogio dei lumi a olio a tre beccucci, la prego.

— Ma che elogio! — esclamò il signor Cesarino. — S’ostina lei a ripetere che ne faccio l’elogio! Io dico che sono di quella generazione là, e addio.

— E non è un elogio questo?