Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/149

Da Wikisource.

— 141 —

lità così squisita, che s’aombra, si turba al più piccolo cenno che le baleni, d’una minima trasgressione ai doveri di cittadino, di marito, di padre di famiglia. Tante volte ha giurato alla moglie di non esser venuto meno, mai, neppure col pensiero, a questi doveri, che veramente ormai non può più neppur pensare di trasgredirli, e soffre, e si fa di mille colori nel veder gli altri, così a cuor leggero, trasgredirli. Gli amici lo deridono e gli dànno dell’ipocrita. Là, in mezzo a loro, così tutto incrostato, tra il fracasso e l’impetuosa volubilità d’una vita senza più ritegni nè di fede nè d’affetti, Cavalena si sente violentato, comincia a credersi in serio pericolo; ha l’impressione d’avere i piedi di vetro in mezzo a un tumulto di pazzi che s’arrabattino con scarpe di ferro. La vita immaginata nel reclusorio come piena d’attrattive e a lui indispensabile gli si scopre vacua, stupida, insulsa. Com’ha potuto soffrir tanto per la privazione della compagnia di quegli amici? dello spettacolo di tante fatuità, di tanti miserabili disordini?

Povero Cavalena! La verità è forse un’altra! La verità è che nel suo ispido reclusorio, senza volerlo, egli s’è purtroppo abituato a conversar con se stesso, cioè col peggior nemico che ciascuno di noi possa avere; e ha avuto così nette percezioni dell’inutilità di tutto, e s’è visto così perduto, così solo, circondato da tenebre e schiacciato dal mistero suo stesso e di tutte le cose... Illusioni? speranze? A che servono? Vanità... E il suo essere, prosternato, annullato per sè, a poco a poco è risorto come pietosa coscienza degli altri, che non sanno e s’illudono, che non sanno e ope-