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— Guardi!
Erano tutti e tre sforacchiati, come rosicchiati dai topi.
Li ho guardati con pietà e con meraviglia; poi ho guardato lui, mostrando chiaramente che non capivo nulla. Cavalena starnutì, o piuttosto, mi parve che starnutisse. No. Aveva detto:
— Piccinì. —
Vedendosi guardato da me con quell’aria stordita, mi mostrò di nuovo i fazzoletti e ripetè:
— Piccinì.
— La cagnetta? —
Socchiuse gli occhi e tentennò il capo con tragica solennità.
— Lavora bene, a quanto pare, — dissi io.
— E non posso dirle niente! — esclamò Cavalena. — Perchè è l’unico essere, qua, in casa mia, da cui mia moglie si senta amata e da cui non tema inimicizie. Ah, signor Gubbio, creda, la natura è infame assai. Nessuna disgrazia può essere maggiore e peggiore della mia. Avere una moglie che si sente amata soltanto da una cagna! E non è vero, sa? Quella bestiaccia non ama nessuno! La ama lei, mia moglie, e sa perchè? perchè con quella bestia solamente ella può sperimentare d’avere un cuore riboccante di carità. E vedesse come se ne consola! Tiranna con tutti, questa donna diventa la schiava d’una vecchia, brutta bestia, che... l’ha veduta?... brutta, le zampe a róncolo, gli occhi cisposi... E tanto più la ama, quanto più s’accorge che tra essa e me s’è stabilita ormai da un pezzo un’antipatia, signor Gubbio, invincibile! invincibile! Questa brutta bestia, sicura che io,