Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/182

Da Wikisource.

anni accumulate e ora vaganti sconnesse; i frammenti d’una vita rimasta occulta, perchè non potemmo o non volemmo rifletterla in noi al lume della ragione; atti ambigui, menzogne vergognose, cupi livori, delitti meditati all’ombra di noi stessi fino agli ultimi particolari, e ricordi obliati e desideri inconfessati, irrompono in tumulto, con furia diabolica, ruggendo come belve. Più d’una volta noi tutti ci guardammo con la pazzia negli occhi, bastando il terrore dello spettacolo di quel pazzo, perchè anche in noi si allentasse un poco questa maglia elastica della coscienza. E anche ora guatiamo obliquamente e andiamo a toccare con un senso di sgomento qualche oggetto della stanza, che fu per poco illuminato sinistramente d’un aspetto nuovo, pauroso, dall’allucinazione dell’infermo; e, andando nella nostra stanza, ci accorgiamo con stupore e con raccapriccio che... sì, veramente, anche noi siamo stati sopraffatti dalla pazzia, anche da lontano, anche soli: troviamo qua e là, segni evidenti, tanti oggetti, tante cose stranamente fuor di posto.

Dobbiamo, vogliamo rassettarci, abbiamo bisogno di credere che l’infermo ora stia così, in questa calma cupa, perchè ancora stordito dalla violenza degli ultimi accessi e ormai spossato, sfinito.

Basta a sostenere quest’inganno un lievissimo sorriso di gratitudine ch’egli accenni appena appena con le labbra o con gli occhi a la signorina Luisetta: fiato, larva di luce impercettibile, che non spira, a mio credere, dall’infermo, ma è piuttosto soffuso sul volto di lui dalla dolce infermiera, appena s’accosti e si chini sul letto.