Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/184

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erano per un’allucinazione, nella quale il delirio di lui si placava. E dunque bisognava lasciarlo fare. Ella, la signorina Luisetta, faceva pietosa e amorosa la sua anima per conto d’un’altra; e quest’anima, fatta così pietosa e amorosa, la dava a lui, come cosa non sua, ma di quell’altra, di Duccella. E mentr’egli s’appropriava quest’anima, ella non poteva, non doveva appropriarsi quelle parole, quelle carezze, quei baci... Ma ne ha tremato in tutte le fibre del corpo, la povera piccina, già disposta fin dal primo momento ad avere tanta pietà per quest’uomo che tanto soffriva a causa dell’altra donna! E non già per sè, che ne aveva veramente pietà, le è toccato d’esser pietosa, ma per quell’altra, ch’ella naturalmente ritiene dura e crudele. Ebbene, ha dato a costei la sua pietà, perchè la rivolgesse a lui e da lui — attraverso il corpo di lei — si facesse amare e carezzare. Ma l’amore, l’amore, chi lo dava? Doveva darlo lei, l’amore, per forza, insieme con quella pietà. E la povera piccina l’ha dato. Sa, sente d’averlo dato lei, con tutta l’anima, con tutto il cuore; e invece deve credere d’averlo dato per quell’altra.

N’è seguito questo: che mentr’egli, ora, rientra a poco a poco in sè e si riprende e si richiude fosco nella sua sciagura; ella resta come vuota e smarrita, come sospesa, senza più sguardo, quasi alienata d’ogni senso, una larva, quella larva che è stata nell’allucinazione di lui. Per lui la larva è scomparsa, e con la larva, l’amore. Ma questa povera piccina, che s’è vôtata per riempire quella larva di sè, del suo amore, della sua pietà, è rimasta lei, ora, una larva; e lui non se n’accorge!