Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/196

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— Lasciami, lasciami fare!

— Ma se non ti reggi in piedi! — gli gridò Polacco.

Si voltò a guardarlo biecamente:

— Posso. Non mi seccare. Ho bisogno... bisogno d’uscire... d’un po’ d’aria.

— Forse è un po’ troppo presto, ecco... — si provò a fargli notare Cavalena — se... se mi permette di...

— Ma se dico che mi sento d’uscire! — lo interruppe il Nuti, attenuando appena con una smorfia di sorriso l’irritazione che traspariva dalla voce.

Questa irritazione nasce in lui dalla volontà di staccarsi dalle cure che finora ci siamo prese di lui e che ci han potuto dare (non a me, veramente) l’illusione ch’egli in certo qual modo ormai ci appartenga, sia un po’ nostro. Avverte che questa volontà è trattenuta dai riguardi per il debito di gratitudine contratto con noi, e non vede altro mezzo di spezzar questo legame di riguardi, che mostrando dispetto e disprezzo per la sua salute e la sua salvezza, di modo che sorga in noi lo sdegno per le cure che ce ne siamo date, e questo sdegno, allontanandolo subito da noi, lo assolva da quel debito di gratitudine. Chi sia in quest’animo, non ardisce di guardare in faccia. E difatti egli, questa mattina, non ha potuto guardar bene in faccia nessuno di noi.

Polacco, di fronte a una così decisa risoluzione, non ha più veduto altro scampo che mettergli attorno a custodirlo e, occorrendo, a pararlo, quanti più di noi era possibile, e segnatamente una che più di tutti gli s’è mostrata pietosa e a cui egli perciò deve un maggior riguardo; e, prima d’andar