Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/222

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Mi sentii d’un tratto da questa nausea alienato da tutti, da tutto, anche da me stesso, liberato e come vôtato d’ogni interessamento per tutto e per tutti, ricomposto nel mio ufficio di manovratore impassibile d’una macchinetta di presa, ridominato soltanto dal mio primo sentimento, che cioè tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, non può produrre ormai altro che stupidità. Stupidità affannose e grottesche! Che uomini, che intrecci, che passioni, che vita, in un tempo come questo? La follìa, il delitto, o la stupidità. Vita da cinematografo! Ecco qua: questa donna che mi stava davanti, coi capelli di rame. Là, nelle sei tele, l’arte, il sogno luminoso d’un giovinetto che non poteva vivere in un tempo come questo. E qua, la donna, caduta da quel sogno; caduta dall’arte nel cinematografo. Su, dunque, una macchinetta da girare! Ci sarà un dramma qui? Ecco la protagonista.

— Attenti, si gira! —


§ 3.


La donna, come aveva compreso in prima dall’espressione del mio volto lo sdegno, comprese l’avvilimento, la nausea in me, e il moto dell’animo che n’era seguito.

Quello — lo sdegno — le era piaciuto, forse perchè intendeva valersene per il suo fine segreto, soggiacendo ad esso sotto i miei occhi con aria d’accorata umiltà. L’avvilimento, la nausea non le erano dispiaciuti, chè forse e più di me li provava anche lei. Le dispiacque la mia freddezza