Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/246

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sto? per il gusto di deridere una povera piccina che aveva preso tutto sul serio, cacciata in mezzo a quell’intrigo laido e volgare? Non s’aspettava nulla di bene, lei, nelle buffe e tristi condizioni della sua vita; ma perchè questo poi? perchè anche lo scherno? Era vile!

Così mi dissero gli occhi della povera piccina. Potevo io lì per lì dimostrarle che il sospetto era ingiusto, che la vita è questa, oggi più che mai, fatta per offrire di questi spettacoli; e che io non ci avevo nessuna colpa?

M’ero indurito; mi piaceva che l’ingiustizia del sospetto ella scontasse soffrendo per quello spettacolo là, per quella gente là, a cui tanto io che lei, non richiesti, avevamo dato qualche cosa di noi, che ora dentro ci doleva, offesa, ferita. Ma ce lo meritavamo! E ora, averla in questo compagna mi piaceva, mentre quei due passeggiavano di là, senza neppur vederci. — Indifferenza, indifferenza, signorina Luisetta, su! — Con permesso, mi veniva di dirle, — scappo a prendere la mia macchinetta per impostarmi subito qua com’è mio obbligo, impassibile. —

E avevo sulle labbra un sorriso strano, ch’era quasi il verso d’un cane, quando tra sè pensando digrigna. Guardavo intanto verso il portone dell’edificio in fondo, da cui venivano fuori, incontro a noi, Polacco, il Bertini e Fantappiè. Improvvisamente avvenne quello che in verità era da aspettarsi, e che dava ragione alla signorina Luisetta di tremare così, e torto a me di volermi serbare indifferente. La mia maschera d’indifferenza fu costretta a scomporsi d’un tratto, alla minaccia d’un