Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/259

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pazzo qua, per questa donna, pazzo da catena; e ora... ma che! non è naturale! non è naturale! —

Io faccio allora un segno con un dito, che il povero Cavalena in prima non intende.

— Che vuol dire? — mi domanda.

Gli rifaccio il segno; poi, placido placido:

— Più sù, ecco, più sù...

— Più sù... che cosa?

— Un gradino più su, signor Fabrizio; salga un gradino più su di codeste considerazioni astratte, di cui ha voluto darmi un saggio in principio. Creda che, se vuol confortarsi, è l’unica. Ed è anche di moda, oggi.

— Come sarebbe? — mi domanda, stordito, Cavalena.

E io:

— Evadere, signor Fabrizio, evadere; sfuggire al dramma! È una bella cosa, e anche di moda, le ripeto. E-va-po-rar-si in dilatazioni, diciamo così, liriche, sopra le necessità brutali della vita, a contrattempo e fuori di luogo e senza logica; su, un gradino più su di ogni realtà che accenni a precisarcisi piccola e cruda davanti agli occhi. Imitare, insomma, gli uccellini in gabbia, signor Fabrizio, che fanno sì, qua e là, saltellando, le loro porcheriole, ma poi ci svolazzano sopra: ecco, prosa e poesia; è di moda. Appena le cose si mettono male, appena due, poniamo, vengono alle mani o ai coltelli, via, su, guardare in su, che tempo fa, le rondini che volano, o magari i pipistrelli, se qualche nuvola passa; in che fase è la luna e se le stelle pajono d’oro o d’argento. Si passa per originali e si fa la figura di comprendere più vastamente la vita. —