Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/74

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senz’ordine, entro il vastissimo recinto, che si estende e spazia nella campagna: uno, più alto di tutti, è sovrastato come da una torre vetrata, di vetri opachi, che sfólgorano al sole; e nel muro in vista dalla strada e dal viale, su la bianchezza abbarbagliante della calce, a lettere nere, cubitali, sta scritto:

LA «KOSMOGRAPH»

L’entrata è a sinistra, da una porticina accanto al cancello, che s’apre di rado. Dirimpetto è un’osteria di campagna, battezzata pomposamente Trattoria della Kosmograph, con una bella pergola su l’incannicciata, che ingabbia tutto il così detto giardino e vi fa dentro un’aria verde. Cinque o sei tavole rustiche, dentro, non molto ferme su i quattro piedi, e seggiole e panchette. Parecchi attori, truccati e parati di strani costumi, vi seggono e discutono animatamente; uno grida più forte di tutti, battendosi con furia una mano su la coscia:

— E io vi dico che bisogna prenderla qua, qua, qua! —

E le manate, su i calzoni di pelle, pajono spari.

Parlano certo della tigre, comperata or è poco dalla Kosmograph; del modo come dev’essere uccisa; del punto preciso in cui dev’essere colpita. Se ne son fatta una fissazione. A sentirli, pare che siano tutti di professione cacciatori di bestie feroci.

Affollati innanzi all’entrata, stanno ad ascoltarli con visi ridenti gli chauffeurs delle vetturette automobili, logore, impolverate; i vetturini delle carrozzelle in attesa, là in fondo, ove la traversa