Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/93

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§ 6.


Non è tanto per me — Gubbio — l’antipatia, quanto per la mia macchinetta. Si ritorce su me, perchè io sono quello che la gira.

Essi non se ne rendono conto chiaramente, ma io, con la manovella in mano, sono in realtà per loro una specie d’esecutore.

Ciascun d’essi — parlo, s’intende, dei veri attori, cioè di quelli che amano veramente la loro arte, qualunque sia il loro valore — è qui di mala voglia, è qui perchè pagato meglio, e per un lavoro che, se pur gli costa qualche fatica, non gli richiede sforzi d’intelligenza. Spesso, ripeto, non sanno neppure che parte stiano a rappresentare.

La macchina, con gli enormi guadagni che produce, se li assolda, può compensarli molto meglio che qualunque impresario o direttore proprietario di compagnia drammatica. Non solo; ma essa, con le sue riproduzioni meccaniche, potendo offrire a buon mercato al gran pubblico uno spettacolo sempre nuovo, riempie le sale dei cinematografi e lascia vuoti i teatri, sicchè tutte, o quasi, le compagnie drammatiche fanno ormai meschini affari; e gli attori, per non languire, si vedono costretti a picchiare alle porte delle Case di cinematografia. Ma non odiano la macchina soltanto per l’avvilimento del lavoro stupido e muto a cui essa li condanna; la odiano sopratutto perchè si vedono allontanati, si sentono strappati dalla comunione diretta col pubblico, da cui prima traevano il miglior compenso e la maggior soddisfazione: quella di vedere, di