Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/108

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un atto ch’era della bestia sorta in lui d’improvviso in quel momento d’afa.

Ora, siamo giusti: bestia, sì; schifosissima, in quell’atto; ma per tanti altri atti onestamente attestati, non era più forse Marco di Dio anche quel buon giovine che il suo maestro dichiarò d’aver sempre conosciuto nel suo sbozzatore?

So che offendo con questa domanda la vostra moralità. Difatti mi rispondete che se in Marco di Dio potè sorgere una tale tentazione è segno evidente ch’egli non era quel buon giovine che il suo maestro diceva. Potrei farvi osservare intanto, che di simili tentazioni (e anche di più turpi) sono pur piene le vite dei santi. I santi le attribuivano alle demonia e, con l’ajuto di Dio, potevano vincerle. Così anche i freni che abitualmente imponete a voi stessi impediscono di solito a quelle tentazioni di nascere in voi, o che in voi scappi fuori all’improvviso il ladro o l’assassino. L’oppressione dell’afa d’un pomeriggio estivo non è mai riuscita a liquefare la crosta della vostra abituale probità nè ad accendere in voi momentaneamente la bestia originaria. Potete condannare.

Ma se io ora mi metto a parlarvi di Giulio Cesare, la cui gloria imperiale vi riempie di tanta ammirazione?

— Volgarità! — esclamate. — Non era più, allora, Giulio Cesare. Lo ammiriamo là dove Giulio Cesare era veramente lui. —

Benissimo. Lui. Ma vedete? Se Giulio Cesare era lui soltanto là dove voi l’ammirate, quando non era