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Ma quest’altra, invece: che tutti dovessero esclamare, sbigottiti:
— O oh! sapete? l’usurajo Moscarda è impazzito! —
Perchè l’usurajo Moscarda poteva sì impazzire, ma non si poteva distruggere così d’un colpo, con un atto contrario a lui e incoerente. Non era un’ombra da giocarci e da pigliare a gabbo, l’usurajo Moscarda: un signore era da trattare coi dovuti riguardi, alto un metro e sessantotto, rosso di pelo come papà, il fondatore della banca, con le sopracciglia, sì, ad accento circonflesso e quel naso che gli pendeva verso destra come a quel caro stupido Gengè di mia moglie Dida: un signore, insomma, che Dio liberi, impazzendo, rischiava di trascinarsi al manicomio con sè tutti gli altri Moscarda ch’io ero per gli altri e anche, oh Dio, quel povero innocuo Gengè di mia moglie Dida; e, se permettete, anche me che, leggero e sorridente, ci avevo giocato.
Rischiai, cioè, rischiammo tutti quanti, come vedrete, il manicomio, questa prima volta; e non ci bastò. Dovevamo anche rischiar la vita, perchè io mi riprendessi e trovassi alla fine (uno, nessuno e centomila) la via della salute.
Ma non anticipiamo.