Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/117

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per gioco e senza malizia, quell’immagine di me ch’egli credeva vera. Ma serio eh? Serio, su, serio. Dovevo far l’esperimento.

— Dunque, signor notaro, eccomi qua. Ma scusi, lei sta sempre sprofondato in questo silenzio? —

Si voltò brusco a quadrarmi. Disse:

— Silenzio. Dove? —

Per Via del Crocefisso era difatti in quel momento un continuo transito di gente e di vetture.

— Già; non nella via, certo. Ma ci sono qua tutte queste carte, signor notaro, dietro i vetri impolverati di questi scaffali. Non sente?

Tra turbato e stordito, tornò a squadrarmi; poi tese l’orecchio:

— Che sento? —

— Ma questo raspìo! Ah, le zampine, scusi, le zampine lì del suo canarino; scusi scusi. Sono unghiute quelle zampine, e raspando su lo zinco della gabbia... —

— Già. Sì. Ma che vuol dire?

— Oh, niente. Non le dà ai nervi, a lei, lo zinco, signor notaro?

— Lo zinco? Ma chi ci bada? Non l’avverto...

— Eppure, lo zinco, pensi! in una gabbia, sotto le gracili zampine d’un canarino, nello studio d’un notaro... Ci scommetto che non canta, questo canarino.

— Nossignore, non canta. —

Cominciava a guardarmi in un certo modo il signor notaro, che stimai prudente lasciar lì il canarino per non compromettere l’esperimento; il quale, almeno in principio, e segnatamente lì, alla presenza del notaro,