Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/132

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§ 6. Il furto.


Quello scaffale, appena fui solo, mi occupò subito, come un incubo. Proprio come viva per sè ne avvertii la presenza ingombrante, d’antico inviolato custode di tutti gli incartamenti di cui era gravido, così vecchio, pesante e tarlato.

Lo guardai, e subito mi guardai attorno, con gli occhi bassi.

La finestra; una vecchia seggiola impagliata; un tavolino ancora più vecchio, nudo, nero e coperto di polvere; non c’era altro lì dentro.

E la luce filtrava squallida dai vetri così intonacati di ruggine e polverosi, che lasciavano trasparire appena le sbarre dell’inferriata e i primi tegoli sanguigni d’un tetto, su cui la finestra guardava

I tegoli di quel tetto, il legno verniciato di quelle imposte di finestra, quei vetri per quanto sudici: immobile calma delle cose inanimate.

E pensai all’improvviso che le mani di mio padre s’erano levate cariche d’anelli lì dentro a prendere gl’incartamenti dai palchetti di quello scaffale; e le vidi, come di cera, bianche, grasse, con tutti quegli anelli e i peli rossi sul dorso delle dita; e vidi gli