Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/221

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mia moglie, non propriamente questo, ma ch’io fossi ad ogni modo un uomo non comune, singolare dall’altra gente; da cui ci si poteva aspettare, un giorno o l’altro, qualcosa di straordinario. Come per dare subito agli altri, e specialmente a mia moglie, la prova ch’ella aveva avuto ragione nel pensare così di me, s’era affrettata a chiamarmi, a informarmi delle intenzioni che si avevano contro di me, a spingermi ad andare da Monsignore; e adesso era di me contentissima, vedendomi là ai piedi del suo letto, come mi vedeva, fermo e placido in attesa di quanto doveva necessariamente avvenire, senza più cura di nulla nè di nessuno.

Eppure fu proprio lei a volermi uccidere, e proprio quando da questa soddisfazione ch’io le davo, e che la faceva un po’ ridere, passò a una grande pietà di me, per rispondere, come affascinata, a quella che, certo, io dovevo avere negli occhi, mentre la guardavo come dall’infinita lontananza d’un tempo che avesse perduto ogni età.

Non so precisamente come avvenne. Quand’io, guardandola da quella lontananza, le dissi parole che più non ricordo, parole in cui ella dovette sentire la brama che mi struggeva di donare tutta la vita ch’era in me, tutto quello che io potevo essere, per diventare uno come lei avrebbe potuto volermi e per me veramente nessuno, nessuno. So che dal letto mi tese le braccia; so che m’attrasse a sè.

Da quel letto poco dopo rotolai, cieco, ferito al