Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/30

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— Su, — dissi, — andiamo! —

Andai, con gli occhi chiusi, le mani avanti, a tentoni. Quando toccai la lastra dell’armadio, ristetti ad aspettare, ancora con gli occhi chiusi, la più assoluta calma interiore, la più assoluta indifferenza.

Ma una maledetta voce mi diceva dentro, che era là anche lui, l’estraneo, di fronte a me, nello specchio. In attesa come me, con gli occhi chiusi.

C’era, e io non lo vedevo.

Non mi vedeva neanche lui, perchè aveva, come me, gli occhi chiusi. Ma in attesa di che, lui? Di vedermi? No. Egli poteva esser veduto, non vedermi. Era per me quel che io ero per gli altri, che potevo esser veduto e non vedermi. Aprendo gli occhi però, lo avrei veduto così come un altro?

Qui era il punto.

M’era accaduto tante volte d’infrontar gli occhi per caso nello specchio con qualcuno che stava a guardarmi nello specchio stesso. Io nello specchio non mi vedevo ed ero veduto; così l’altro, non si vedeva, ma vedeva il mio viso e si vedeva guardato da me. Se mi fossi sporto a vedermi anch’io nello specchio, avrei forse potuto esser visto ancora dall’altro, ma io no, non avrei più potuto vederlo. Non si può a un tempo vedersi e vedere che un altro sta a guardarci nello stesso specchio.

Stando a pensare così, sempre con gli occhi chiusi, mi domandai:

— È diverso ora il mio caso, o è lo stesso? Finchè tengo gli occhi chiusi, siamo due: io qua e lui