Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/34

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Eppure, io ero per tutti, sommariamente, quei capelli rossigni, quegli occhi verdastri e quel naso; tutto quel corpo lì che per me era niente; eccolo: niente! Ciascuno se lo poteva prendere, quel corpo lì, per farsene quel Moscarda che gli pareva e piaceva, oggi in un modo e domani in un altro, secondo i casi e gli umori. E anch’io... Ma sì! Lo conoscevo io forse? Che potevo conoscere di lui? Il momento in cui lo fissavo, e basta. Se non mi volevo o non mi sentivo così come mi vedevo, colui era anche per me un estraneo, che aveva quelle fattezze, ma avrebbe potuto averne anche altre. Passato il momento in cui lo fissavo, egli era già un altro; tanto vero che non era più qual era stato da ragazzo, e non era ancora quale sarebbe stato da vecchio; e io oggi cercavo di riconoscerlo in quello di jeri, e così via. E in quella testa lì, immobile e dura, potevo mettere tutti i pensieri che volevo, accendere le più svariate visioni: ecco: d’un bosco che nereggiava placido e misterioso sotto il lume delle stelle; di una rada solitaria, malata di nebbia, da cui salpava lenta spettrale una nave all’alba; d’una via cittadina brulicante di vita sotto un nembo sfolgorante di sole che accendeva di riflessi purpurei i volti e faceva guizzar di luci variopinte i vetri delle finestre, gli specchi, i cristalli delle botteghe. Spengevo a un tratto la visione, e quella testa restava lì di nuovo immobile e dura, nell’apatico attonimento.

Chi era colui? Nessuno. Un povero corpo, senza nome, in attesa che qualcuno se lo prendesse.

Ma, all’improvviso, mentre così pensavo, avvenne