Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/36

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2ª — che non potevo vedermi vivere;

3ª — che non potendo vedermi vivere, restavo estraneo a me stesso, cioè uno che gli altri potevano vedere e conoscere; ciascuno a suo modo; e io no;

4ª — che era impossibile pormi davanti questo estraneo per vederlo e conoscerlo; io potevo vedermi, non già vederlo;

5ª — che il mio corpo, se lo consideravo da fuori, era per me come un’apparizione di sogno; una cosa che non sapeva di vivere e che restava lì, in attesa che qualcuno se la prendesse;

6ª — che, come me lo prendevo io, questo mio corpo, per essere a volta a volta quale mi volevo e mi sentivo, così se lo poteva prendere qualunque altro per dargli una realtà a modo suo;

7ª — che infine quel corpo per se stesso era tanto niente e tanto nessuno, che un filo d’aria poteva farlo starnutire, oggi, e domani portarselo via.

Conclusioni:

Queste due per il momento:

1ª — che cominciai finalmente a capire perchè Dida mia moglie mi chiamava Gengè;

2ª — che mi proposi di scoprire chi ero io almeno per quelli che mi stavano più vicini, così detti conoscenti, e di spassarmi a scomporre dispettosamente quell’io che ero per loro.