Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/65

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§ 12. Quel caro Gengè.


— No no, bello mio, statti zitto! Vuoi che non sappia quel che ti piace e quel che non ti piace? Conosco bene i tuoi gusti, io, e come tu la pensi. —

Quante volte non m’aveva detto così Dida mia moglie? E io, imbecille, non ci avevo fatto mai caso.

Ma sfido ch’ella conosceva quel suo Gengè più che non lo conoscessi io! Se l’era costruito lei! E non era mica un fantoccio. Se mai, il fantoccio ero io.

Sopraffazione? Sostituzione?

Ma che!

Per sopraffare uno, bisogna che questo uno esista: e per sostituirlo, bisogna che esista ugualmente e che si possa prendere per le spalle e strappare indietro, per mettere un altro al suo posto.

Dida mia moglie non m’aveva nè sopraffatto nè sostituito. Sarebbe sembrata a lei, al contrario, una sopraffazione e una sostituzione, se io, ribellandomi e armando comunque una volontà d’essere a mio modo, mi fossi tolto dai piedi quel suo Gengè.

Perchè quel suo Gengè esisteva, mentre io per lei non esistevo affatto, non ero mai esistito.

La realtà mia era per lei in quel suo Gengè ch’ella s’era foggiato, che aveva pensieri e sentimenti e gusti