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110 poemetti allegorico-didattici


II

     Se unqua fu neun, che di servire
acconcio fosse ben lo suo volere
a ciaschedun, secondo su’ podere,
4sì son io un di que’che v’ha ’l disire,
e ch’amerei innanzi di morire
che di no dir, faccendone spiacere
di cosa in ch’io potesse mantenere
8l’amico a me senza farlo partire.

     Sì ch’ubbidir talora mi convene
però di dir che non m’è bene in grato,
11ma ’l fo per la ragion davanti detta;
onde se non è l’opera perfetta,
tutto ch’i’ non mi sia però iscusato,
14ricordo ’l fallo ch’i’ conosco in mene.

III

     Perfetto onore, quanto al mi’ parere,
non puote avere — chi non è soffrente,
né fra la gente — acconcio capere
4poi che tenere — vi si vuol possente:
né non neente — d’umiltá savere,
onde’l piacere — vene a chi la sente:
perché ’l saccente — brig’ a suo podere
8di sé tenere — lungi a lui sovente:

     ed è piacente — in ciò la sua usanza,
che costumanza — non seria giá bona,
11lui di persona — c’have per pietanza
noia e pesanza, — ma vogli’ e somona
quel cui Dio dona — onor e baldanza
14e per leanza del sofrir corona.