Pagina:Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII, 1941 – BEIC 1894103.djvu/131

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trattato d'amore


XXXII

     Se in me avesse punto di savere,
veggendo ch’ad Amor neente cale
di quel gravoso e periglioso male
4ch’a tutte l’or mi vede sostenere,
i’ mi saprei partir del suo volere,
dove m’have condotto, lasso! a tale
che quasi ormai soccorso non mi vale,
8sí consumato son nel male avere.

     Ed aggio il bon sentor quasi perduto,
ched’è ’n soffrire ispento e consumato,
11né punto non mi sento di vertute:
però non parto me da le ferute
siccomo folle che vi sono usato;
14ma brevemente ispero aver compiuto.

XXXIII

     Alcuna gente, part’io mi dimoro
fra me medesmo lo giorno pensoso,
si tragge in vêr lo loco ov’i’ mi poso,
4dicendo che mal fo che mi divoro.
«De’, be’ segnori», dich’io allor con loro,
«credete voi che lo star doloroso
mi piaccia? Non: ma ne lo core inchioso
8mi sento il male, ond’io languendo moro.

     E ciò mi face Amor sol perch’io l’amo
e stato sempre son su’ servidore,
11e voi vedete il merito ch’i’ n’aggio.»
Cosí dicendo fo mutar coraggio
a ciaschedun ched è riprenditore
14de lo penser ch’i’ fo c’ho stato gramo.