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346 | poemetti allegorico-didascalici |
CCXXX
[L’Amante.]
Per piú volte falli’ a lui ficcare,
perciò che ’n nulla guisa vi capea;
e la scarsella ch’al bordon pendea,
4tuttor di sotto la facea urtare,
credendo il bordon meglio far entrare;
ma giá nessuna cosa mi valea.
Ma a la fine i’ pur tanto scotea,
8ched i’ pur lo facea oltre passare.
Sí ch’io allora il fior tutto sfogliai,
e la semenza ch’i’ avea portata,
11quand’ebbi arato, sí la seminai.
La semenza del fior v’era cascata;
amendue insieme sí le mescolai,
14che molta di buon’erba n’è po’ nata.
CCXXXI
[L’Amante.]
Quand’i’ mi vidi in cosí alto grado,
tutti i mie’ benfattori ringraziai,
e piú gli amo oggi ch’i’ non feci mai,
4che molto si penar di far mi’ grado.
Al Die d’amor ed a la madre i’ bado,
e a’ baron de l’oste chiamo assai
d’essere lor fedele a sempre mai,
8e di servirgli, e non guardar ma’ guado.
Al buono Amico e a Bellaccoglienza
rende’ grazie mille e mille volte;
11ma di Ragion non ebbi sovvenenza,
che le mie gioie mi credette aver tolte.
Ma contra lei i’ ebbi provedenza,
14sí ch’i’ l’ho tutte quante avute e colte;