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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/124

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     Chi stimar quel, ch’avvenne allor, dovette,
Che l’uno, e l’altro pargoletto, e infermo
Da le mamme ferine umil pendesse?
E in luogo esposto, solitario, ed ermo,
Come potea piangendo si dolesse,
Altro che pianger non avendo schermo:
Pur da quel latte si formar le mura,
Di cui la tema ancor, e l’amor dura.

     Pietosa nell’aspetto ambedui guarda,
E col collo piegato al latte invita
La gentil lupa, e di desio par ch’arda
Di porger lor come a’ suoi figli aita;
Così grazia del Ciel non fu mai tarda,
Anzi si allor girò largo infinita
Ch’all’empie fiere col valor suo immenso,
E a l’acqua insieme diè pietate, e senso.

     Questo un dì forse, che troppo or m’involo
Da voi lontano ombrosi, e sacri boschi,
E me stesso riprendo di tal volo:
Credo Fistola mia, che tel conoschi:
Però tornando a lei, ch’io adoro, e colo,
Cantiam fra verdi colli amici, e foschi:
Che degno ancor non son di sporre al caro
I versi miei, nè al Varchi ornato, e chiaro.