Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/234

Da Wikisource.
222

Della grave tenzon, il nobil carro
Delle cobrese sacrate ossa onusto
A questo dolce patrio nido in grembo
Trar balenanti, e rapidi fur visti?
Certo assai più per sì celeste dono
Per sì raro tesor, che in te si serba
Vantar Chieri ti dei, che non per quanta
Nei fatti della pace, e della guerra
Gloria e splendor t’accumularo al crine
I magnanimi tuoi figli vetusti.
Ma quai dentro al tuo cor, sacro Pastore,
Quai di patria pietà teneri sensi
Non desteransi immantinenti udendo
A qual orrido scempio a quale estrema
Fatal rovina i furibondi artigli
Dell’aquila Germana abbian ridotto
Del primo Federico a un feral cenno
Questo infelice suol, questo fiorente,
E allor sì illustre nostro patrio nido?
Ohimè? di quanta strage, e orribil guasto
N’andò Chieri dolente a ferro, e a fuoco
Dall’esercito fier dannata, e quali
Di crudeltà inaudite orme profonde
Non si videro impresse in ogni lato
Dell’oppressa cittade? un folto nembo
D’aste, e saette, e di ferrate mazze
E di cent’altri bellicosi ordigni,