Pagina:Poemetti italiani, vol. V.djvu/134

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Pascea la piaggia, e Roma ancor non era:
Nè lidi a lidi avea imprecato ed armi
Contrarie ad armi la deserta Dido.
Non lungi accusan la Vulcania fiamma
Pomici scabre, e scoloriti marmi.
Bello è il veder, lungi dal giogo ardente.
Le liquefotte viscere de l’Etna;
Lanciati sassi al ciel. Altro fu svelto
Dal sempre acceso Stromboli; altro corse
Sul fianco del Vesevo onda rovente.
O di Pompeio, o d’Ercole giù colte
Città scomparse ed obbliate, alfine,
Dopo si lunga età risorte al giorno!
Presso i misteri d’Iside e le danze,
Dal negro ciel venuto, a larghi rivi
Voi questo cener sovraggiunse; in voi
Gli aurei lavor di pennel greco offese.
Dove voi lascio, innamorati augelli,
Sotto altro cielo ed altro Sol volanti?
Te risplendente del color del fuoco;
Te ricco di corona; te di gemme
Distinto il tergo; e te miracol nuovo
D’informe rostro e di pennuta lingua?
Tu col gran tratto d’ala il mar traversi;
Tu pur esile colibrì, vestito
D’instabili color, de l’etra a i campi,
Con brevissima penna osi fidarti.