Pagina:Poemetti italiani, vol. V.djvu/144

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Quel pur ti prega, che non più consenta
A l’alme rime tue, vaghe sorelle,
Andar divise; onde odono fra ’l plauso
Talor sonar dolce lamento: al novo
Vedremo allor volume aureo cresciuto,
Ceder loco maggior Stampa e Colonna.
Or de gli estinti ne le mute case,
Non ti parrà quasi calar giù viva,
Su l’esempio di lui, da la cui cetra
Tanta in te d’armonia parte discese?
Scarnata ed ossea su l’entrar s’avventa
Del can la forma: ah non è questo il crudo
Cerber trifauce, cui placar tu deggia
Con medicata cialda: invano mostra
Gli acuti denti: ei dorme un sonno eterno
Ossee dintorno a lui, con cento aspetti,
Stanno silvestri e mansuete fere:
Sta senza chioma il fier leon, su l’orma
Immoto è il daino; è senza polpe il bieco
Cinghiai feroce: senza vene il lupo,
Senza ululato, e non lo punge fame
De le bianche ossa de l’agnel vicino.
Piaccia ora a te quest’anglico cristallo
A’ leggiadri occhi sottoporre; ed ecco
Di verme vil giganteggiar le membra.
Come in antico bosco d’alte querce
Denso e di pini, le cognate piante
I rami intreccian, la confusa massa