Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/89

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Taide novella, ai facili sapienti
De la Gallica Atene, i tuoi precetti
Pur dona al mio Signore: e a lui non meno
Pasci la nobil mente, o tu ch’a Italia,
Poi che rapîrle i tuoi l’oro e le gemme,
Invidiasti il fedo loto ancora
Onde macchiato è il Certaldese, e l’altro
Per cui va sí famoso il pazzo Conte.
   Questi, o Signore, i tuoi studiati autori
Fíeno e mill’altri che guidaro in Francia
A novellar con le vezzose schiave
I bendati Sultani, i regi Persi,
E le peregrinanti Arabe dame;
O che con penna liberale ai cani
Ragion donaro e ai barbari sedili,
E diêr feste e conviti e liete scene
Ai polli ed a le gru d’amor maestre.
   Oh pascol degno d’anima sublime!
Oh chiara oh nobil mente! A te ben dritto
È che si curvi riverente il vulgo,
E gli oracoli attenda. Or chi fia dunque
Sí temerario che in suo cor ti beffi
Qualor partendo da sí begli studi
Del tuo paese l’ignoranza accusi,
E tenti aprir col tuo felice raggio
La Gotica caligine che annosa
Siede su gli occhi a le misere genti?