Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/94

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Da la man scossa un polveroso nembo
Onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.
   D’orribil piato risonar s’udío
Già la corte d’Amore. I tardi vegli
Grinzuti osar coi giovani nipoti
Contendere di grado in faccia al soglio
Del comune Signor. Rise la fresca
Gioventude animosa, e d’agri motti
Libera punse la senil baldanza.
Gran tumulto nascea; se non che Amore,
Ch’ogni diseguaglianza odia in sua corte,
A spegner mosse i perigliosi sdegni:
E a quei che militando incanutîro
Suoi servi impose d’imitar con arte
I duo bei fior che in giovenile gota
Educa e nutre di sua man natura:
Indi fe’ cenno, e in un balen fûr visti
Mille alati ministri alto volando
Scoter le piume, e lieve indi fiocconne
Candida polve che a posar poi venne
Su le giovani chiome; e in bianco volse
Il biondo, il nero, e l’odiato rosso.
L’occhio cosí nell’amorosa reggia
Piú non distinse le due opposte etadi,
E solo vi restò giudice il Tatto.
   Or tu adunque, o Signor, tu che se’ il primo
Fregio ed onor dell’amoroso regno,